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Irisbus- Ultimo giorno di lavoro in Valle Ufita, dopo 33 anni si chiudono i cancelli

Si chiude oggi definitivamente il capitolo Irisbus in Valle Ufita. Ultimo giorno di lavoro per i dipendenti della Fiat che dopo 33 anni di lavoro dovranno lasciarsi alla spalle quello che era diventato ormai un punto fermo della realtà sociale ed economica di questo territorio. Un divorzio non semplice quello tra l’irpinia e il gruppo torinese, colmo di veleni e di lacune che si sono snodati e tradotti in più di 4mesi di lotta. Atmosfera strana ai cancelli di Valle Ufita, commozione e rabbia, speranza e delusione, sentimenti contrastanti tra gli operai che continuano, nonostante le frequenti porte in faccia, a chiedere aiuto al governo e ad affidarsi al ministro Passera affinchè faccia ciò che da tempo  si ostinano a chiedere: valutazione della proposta cinese, rinnovo del parco auto, dirottamento dei fondi al trasporto pubblico su gomma. E’ di questi giorni infatti la notizia per cui Governo e Regione hanno raggiunto un accordo sul finanziamento nel 2012 pari a 1 miliardo e 600 milioni proprio per il trasporto. Ora come ora serve a poco considerando che i battenti dell’unica fabbrica che in Italia produceva autobus verranno chiusi. Lo spiraglio nonostante tutto resta indirizzato verso gennaio, quando dal Ministero per lo sviluppo economico verranno valutate tutte le ipotesi sulla reindustrializzazione dell’azienda ufitana.  Tante ombre sulla questione ma anche tantissime luci che hanno brillato sullo stabilimento  talvolta abbagliando la realtà della cose. Un crescendo di assunzioni all’inizio del ‘matrimonio’ tra l’azienda e l’Irpinia, dalle 200 unità iniziali si è passati a 1000 per diventare quasi il doppio includendo l’indotto. Probabilmente troppo per un territorio sostanzialmente a vocazione agricola che imparò presto a familiarizzare con termini come catena di montaggio, esproprio, produzione in scala o trasporto pubblico, il tutto contestualizzato in anni difficili, il terremoto del’ 80 confuse le carte in tavola e la parola d’ordine diventò: cieca speranza. Per anni infatti, la speranza industriale di questa terra si è chiamata Iveco, poi Irisbus.  Da lì girava l’economia di quella parte di Irpinia, lì era impiegata una forte fetta della forza lavoro, tante le famiglie il cui reddito si basava totalmente su quell’azienda. La 'signorina Fiat' la chiama un operaio, una madre generosa, una moglie devota della quale essere marito fedele, oggi...matrigna, come se non si trattasse più solo di un' azienda come se quello stabilimento avesse preso sembianze umane. Oggi 685 lavoratori e lavoratrici dello stabilimento del gruppo Fiat torneranno a casa, in tasca avranno due anni la cassa integrazione straordinaria e nessuna certezza per il futuro. Ciò che conserveranno per sempre sarà la capacità di organizzazione che hanno affinato in più di 100 giorni di presidio, la volontà di reagire a quella che consideravano una decisione ingiusta, la riscoperta del significato dell’espressione ‘lotta operaia’, la speranza di riuscire a far cambiare idea ai ‘potenti’, l’illusione di non incarnare dei moderni Don Chisciotte contro dei mulini a vento in maglioncino di cashmere blue…