Cultura
Appello ai ragazzi dei paesi : IL CANTIERE DELLA SFIDUCIA di Giovanni Carrosio e Franco Arminio

Appello in particolare ai ragazzi dei paesi
Siamo entrati nell’economia di guerra. Armi contro welfare, autoritarismo contro diritti. È iniziata la caccia agli sprechi, per raschiare il barile delle casse pubbliche. È iniziata la caccia a chi togliere risorse economiche, per convertirle alla guerra. Si comincia indebolendo le politiche di coesione territoriale e si finisce per attaccare il welfare. Si comincia con i territori e si finisce con le persone. Ma bisogna farlo con argomenti neutri, tecnici, e bisogna colpire chi ha meno voce, perché non si alzi la protesta. È in questa cornice che dobbiamo guardare alle nuove linee di indirizzo sulle aree interne e alla individuazione di aree che andrebbero accompagnate alla morte. Il linguaggio del potere è mirabolante e ha bisogno di raccontare le aree interne come luoghi dell’assenza, piuttosto che della presenza. Ci sarebbero aree dove non c’è più nulla, e sul nulla non costruiscono politiche di sviluppo, di cittadinanza, di abilitazione. Ma stiamo attenti, ciò che non esiste è in realtà attivamente prodotto come non-esistente, dentro una narrazione che delegittima – con parole di apparente buonsenso – ciò che in realtà è presente, al fine di renderlo incompatibile con ciò che invece è legittimato a esistere. E allora, dopo un decennio di linguaggio della presenza sulle aree interne, possibile anche grazie a una politica pubblica come la Strategia Aree Interne, che ha aggregato e reso visibile le tante italie fino ad allora senza voce, si fa prepotente il linguaggio dell’assenza.
Ci sono cinque macro-rappresentazioni che costruiscono il discorso sull’assenza, che è un discorso funzionale a marginalizzare le aree interne.
La logica monoculturale dell’epistemologia della conoscenza: i saperi locali, tradizionali, empirici, contestuali, situati vengono sistematicamente squalificati come non scientifici, arretrati, inefficienti. Nel mondo dei dati e dell’intelligenza artificiale, non ci sarebbe più posto per altri modi di conoscere le cose. Non sono bastati i tanti disastri ambientali per costruire un discorso contro-egemone, capace di mostrare come nella crisi climatica, sono proprio i saperi contestuali a funzionare da sentinelle che vedono l’alba quando è ancora notte.
La logica monoculturale del tempo lineare: le aree interne vengono considerate indietro nel tempo, arretrate, non al passo con i cambiamenti, con la modernità, incapaci di proiettarsi nel futuro liberandosi della zavorra del passato. Non fosse che nella transizione ecologica, l’incorporazione della natura nei nostri sistemi produttivi richiede il recupero della circolarità, che si traduce in economie locali produttive se capaci di rompere la linearità. E che nel passato, ci sono tante pratiche colturali e di cura del territorio che oggi vengono reintrodotte nei percorsi di innovazione.
La logica della gerarchia sociale: nel discorso egemone vengono naturalizzate gerarchie che collocano questi territori come inferiori, dipendenti, problematici, un linguaggio tipico dell’esclusione sociale. Non fosse che la storia dello sviluppo mostra come le gerarchie vengono costruite, decostruite, ricostruite come esito delle scelte che si fanno e delle deliberate forme di stigmatizzazione. Sono le politiche a costruire gerarchie, quando assecondano le logiche di concentrazione del capitalismo. E il linguaggio dell’assenza serve proprio per legittimare queste logiche.
La logica dalla scala dominante: tutto ciò che non ha scala adeguata, o non si presta alla scalabilità, viene considerato irrilevante. “Eh ma non è scalabile, eh ma non è replicabile”. La logica delle economie di scala è la logica che mette l’efficienza economica davanti ai diritti sociali e di cittadinanza, che pensa a un mondo piatto, senza differenze, piuttosto che guardare a come costruire ben vivere per ogni persona in ogni luogo. È la logica della standardizzazione, contro la differenziazione. Delle regole che costruiscono i bisogni a loro immagine, piuttosto che dei bisogni che hanno bisogno di regole adattate per essere soddisfatti.
Infine, la logica produttivista: le aree interne vengono giudicate solo in base alla produttività economica convenzionale, ignorando altre forme di valore. Eppure c’è valore oltre la valorizzazione economica: identità, natura, tenuta idrologica del territorio, relazioni, appartenenza ai luoghi. Che cosa è il valore, come si lega ai valori? Come rimettiamo al centro i valori che danno valore alle aree interne?
La prima risposta è puntare sui ragazzi piuttosto che sul cemento. Bisogna dare opportunità a chi è rimasto, a chi vorrebbe tornare e a chi non ha mai vissuto nei paesi. I paesi si salvano intrecciando intimità e distanza, il computer e il pero selvatico. E bisogna anche intervenire sui meccanismi di rappresentanza: oltre alle quote rosa bisogna garantire che in Parlamento arrivano rappresentati dei piccoli comuni. In un Occidente che è diventato un ammasso di solitudini e bulimie consumistiche, i luoghi alti sono ancora riserve di comunità e senso della misura. Il mondo ha bisogno di paesi, ma vanno abitati e amministrati in una logica che ci porti dalla comunità ruscello alla comunità pozzanghera. Dunque, ben altro che tabelline dei presunti esperti, ma le passioni vive di chi canta e scrive, di chi fa il formaggio, il vino, di chi riattiva saperi antichi e li intreccia con la voglia di futuro. Il Governo si è associato agli scoraggiatori militanti di cui già sono pieni i paesi. Bisogna smantellare il cantiere della sfiducia, non farlo diventare una palazzina, un condominio dell'agonia.